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Lo stress lavoro correlato divora pure te? Digli di smettere.

Stress lavoro correlato: non ricordi più l’ultima volta che ti sei alzato felice? La settimana lavorativa è diventata insopportabile? Niente paura, è solo il buon vecchio stress sotto un aspetto nuovo: stress lavoro correlato. Leggi questo articolo e ti spiegherò come risolvere il problema.

Lo stress lavoro correlato ti sta avvelenando la vita?

Hai già provato con la meditazione trascendentale ma ti annoia, la New Age è una spiritualità ormai geriatrica, l’omeopatia potrebbe ma sospendi il giudizio, ti restano ancora due cose da fare: tenertelo o leggere questo articolo.

Un caso concreto di stress lavoro correlato.

Il mio paziente si chiama Nicola ed è convinto di essere l’uomo più stressato del mondo. Tiene molto a questo primato e se provi a sottrarglielo si offende. Ma se anche stesse esagerando, se anche il primato non fosse reale, la sua sofferenza lo è, e a me tanto basta.

Al nostro primo incontro è rigido come uno schienale, privo di risvolti morbidi, delicati o anche solo tolleranti non è un bello spettacolo, ma capita spesso che i miei pazienti siano così. Lo saluto calorosamente, e lo invito a sedersi di fronte a me.

Chiedo ― Quand’è che si sente più stressato?
― Sempre.― mi risponde ostile. Neanche fosse colpa mia.
Con i “sempre” e con i “mai” non si lavora, sono come pentole prive di maniglie, inafferrabili , perciò alla ricerca di una qualsiasi appiglio obbietto ― “Sempre”, è un sacco di volte. Me ne racconti una.

Nicola boccheggia, pare un sarago alla ricerca d’ossigeno, ― Al lavoro. ― risponde.
Con un sorriso lo incoraggio a raccontare, ma non ne ha nessuna voglia e me lo dimostra in tutti i modi. Si agita sulla sedia, si guarda intorno. Lo lascio fare e taccio, alla fine il silenzio si fa pesante. Per lui, almeno, io ci sono abituata.

Così, finalmente si confida ― A volte ho paura di impazzire. Dottoressa, è possibile che io stia diventando pazzo?

― La sensazione di diventare pazzo è quasi normale nelle persone molto stressate.― lo rassicuro ― E’ solo una sensazione, mi creda. Ma mi parli del suo lavoro, lei che fa?
Nicola è un contabile, lavora in una società di consulenza e con i numeri è bravo. Molto bravo, il problema sono le persone, una fra tutte, il capo.

― È davvero così terribile?
Mi guarda disperato e infastidito. Per lui il concetto è ovvio, spiegarlo sarebbe una perdita di tempo. Mi osserva con attenzione, cerca di valutarmi, lo vedo, tra un po’ deciderà che non valgo molto e mi chiederà uno sconto sulla tariffa oraria. Insisto― Mi racconti un episodio.

― È un uomo crudele, riesce a farmi sentire sempre una nullità.
― Quand’è che l’ha fatta sentire una nullità?
― Sempre, non mi faccia ripetere.
― Anche oggi?
― E certo!
― Mi racconti cosa è successo oggi.

Lui, scontento, sbuffa ― Cosa è successo, cosa è successo. Mi ha fatto sentire una nullità, come sempre, non mi faccia ripetere. Uno si fa il culo, mi scusi dottoressa, ogni santo giorno e a quello non va mai bene niente. Per la miseria, sono diciotto anni che mi rende la vita impossibile, diciotto anni, capisce? E mai che mi abbia detto: bravo. Come se non fossi capace di fare il mio lavoro.

― E lei ci crede?
― Cosa?
― Che non è capace di fare il suo lavoro.
― E per forza che ci credo. ― si interrompe, deglutisce. ―A furia di sentirmelo dire.Incurva le spalle, pare una foglia avvizzita. Sconfitta dall’inverno.

Gli lascio il tempo di riprendersi, tacciamo entrambi per qualche minuto. Poi, di nuovo, gli domando

―Mi racconti cosa è successo oggi.
Lui si accartoccia ancora di più ma inizia a parlare, flebile. Devo accartocciarmi anch’io per riuscire a sentirlo. L’eleganza del setting va a farsi benedire.

― Devo rendicontare un progetto sulla Legge 53. Un cavolo di legge sulla tutela della maternità. É una settimana che imposto un foglio di Excel che tenga conto di tutte le voci. Ho chiesto più volte al mio capo se andava bene e lui si è degnato di venire a vedere solo oggi, dopo una settimana che ci lavoro sopra.

― E come è andata?
― Come vuole che sia andata? Ha detto che il lavoro faceva schifo, che avevo speso una settimana a fare cazzate, e che non mi meritavo lo stipendio che mi pagava.
― E lei come si è sentito?
Mi ha guardato come se fossi un ebete. Adesso mi chiede uno sconto sul serio. Il brutto del nostro lavoro sta proprio qui, dobbiamo fare domande apparentemente idiote, tanto scontata sembra la risposta.

― Come mi sarei dovuto sentire secondo lei. Un fallito, no?
Il fatto è che la risposta scontata non è.
― Perché un fallito? Ha sbagliato solo l’impostazione di un foglio Excel. Ammesso che l’abbia sbagliata davvero, quanti anni sono che fa questo lavoro?
― Diciotto, non mi faccia ripetere.

È uno precisino, Nicola, ricorda tutto e me lo sottolinea ogni volta. Non deve essere male come contabile. O è un effetto collaterale dello stress lavoro correlato?
― E in diciotto anni, quante volte ha fatto male il suo lavoro? Quante volte bene?
Mi guarda come un assetato di fronte a una granita, ha capito dove voglio arrivare.

Se faccio male un lavoro non sono un fallito, solo uno che ha fatto male un lavoro. Se ragioniamo nei termini del “ tutto o nulla”, ( o faccio tutto bene oppure è tutta una schifezza) lo stress lavoro correlato, è assicurato. E non solo quello.

Ma, sottolineare quanto sia sbagliato confondere la parte con il tutto, non è sufficiente a rasserenare Nicola.
― Mi ha fatto sentire un cretino, un deficiente. ― continua in tono disperato ―Non lo sopporto più. L’idea di dover tornare in quell’ufficio mi fa vomitare.
Gli chiedo se ha figli.

― Una figlia,― mi risponde torvo ―di quattordici anni.
― E si chiama?
―Allegra.
Vorrei chiedergli chi ha scelto il nome. Di sicuro non lui .
―Allegra fa qualche sport?
―Ginnastica artistica.
― Allora, Nicola, immagini che una sera sua figlia torni disperata dalla lezione. Lei che fa?
― Le chiedo cosa è successo.

Non conoscendo Allegra domando a Nicola di suggerirmi una situazione che potrebbe gettare la figlia in una situazione di vergogna intollerabile. Lui ci pensa un po’, poi sogghigna perfido e mi propone
― Durante un esercizio, per lo sforzo le è scappata una scoreggia che tutti hanno sentito.

Per essere una vittima di stress lavoro correlato, Nicola, ha ancora un sacco di immaginazione. Devo ricordarmi di farglielo notare.

―Benissimo. Allegra è stravolta dalla vergogna. Le confessa che non ha più il coraggio di tornare in palestra. Vuole abbandonare la squadra. Lei cosa le risponde?
― Faccia un po’ quello che vuole.
―Non le importa che sua figlia continui con la ginnastica artistica?
Alza le spalle indifferente.
―D’accordo. Ma per un attimo facciamo finta che per lei la ginnastica di sua figlia sia importante. Facciamo finta che lei debba convincerla a tutti i costi a non abbandonare. Che le direbbe?

Ci pensa un po’, corruga la fronte. Sono commossa da quanto si stia impegnando.
― Le dico di non farla tanto tragica, che è una cosa che può succedere a tutti, anzi che magari è già successa qualche volta e nessuno ci ha fatto caso. Magari il suo non si è neppure sentito.
― Ottima risposta.

― Ma cosa c’entra con me? ― protesta ― Io mica scoreggio. Io sono disperato, non voglio più tornare al lavoro perché il mio capo mi tormenta.
― E la fa sentire un fallito.
― E certo!
―Le ha proprio detto: Nicola, lei è un fallito?
―No, ma …

― Il suo capo tratta così solo lei?
―Il mio capo è uno stronzo, mi scusi di nuovo. Tratta male tutti.
―E siete tutti dei falliti?
― No, no, anzi.
―Direi che non lo è neppure lei, e il suo capo lo sa benissimo. Si considera disperato, e la capisco, diciamo che è dolorosamente esasperato, questa situazione la sta mettendo alla prova da troppo tempo.

Ma proviamo a guardarla con un po’ più di obiettività. Un “capo stronzo”, mi scusi lei adesso, è una faccenda sgradevole, ma la disperazione è un’altra cosa. Ci si dispera per ciò che non ha soluzione. Una faccenda sgradevole, invece, lo ammetta, è in grado di sostenerla pure lei.

Lo stress è il risultato di una relazione tra l’individuo e l’ambiente. La persona stressata sente questa relazione come eccessiva rispetto alle proprie risorse e, incapace di sostenerla, si sente minacciata.
Perché Nicola era stressato? Perché era convinto di essere un fallito davvero, e perché riteneva insopportabile l’opinione negativa che il capo aveva di lui.

L’ansia di Nicola si è ridimensionata quando ha accettato l’idea che fallire un compito non è il fallimento dell’intera persona, e quando si è persuaso che un capo per quanto miserabile sia, non è un fenomeno intollerabile ma solo sgradevole. Siamo sulla buona strada per uscire dalle panie dello stress lavoro correlato.

William Thomas famoso sociologo americano ha enunciato un teorema che mi piace proporvi perché assolutamente vero: “Se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze.”
Nicola era sicuro che il suo capo lo considerasse un fallito, sono convinta che non fosse vero, ma lui viveva la situazione come tale insieme all’inevitabile corredo di sofferenze e ansie. Solo analizzando i suoi presupposti con un minimo di obiettività Nicola è riuscito a vedere la situazione per quello che era e affrontarla con maggiore serenità.

Lo stress lavoro correlato: conclusioni

Quando viviamo una situazione con ansia dobbiamo innanzitutto verificare che se la meriti: questa situazione è davvero pericolosa per noi? Perché se non lo fosse sarebbe inutile viverla come tale, un inutile spreco di dolore e di energie.
La vita è un fardello pesante, è importante eliminare i pesi inutili per alleggerirla. Mi piace l’idea di lasciarvi con una vignetta simpatica e profondamente vera. Così, tanto per sdrammatizzare. Dott.ssa Manuela Leonessa

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